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Il prossimo Papa si chiamera’ Francesco

Papa

Nei giorni scorsi ho pubblicato sul sito dell’Azione Cattolica Italiana, questo articolo che ripropongo qui. – 

Il prossimo Papa si chiamerà Francesco. Avrà quel vigore del corpo e dell’animo che Joseph Ratzinger dice di non avere più.

Il prossimo Papa custodirà attentamente la voce di Dio che gli parlerà con solo sei parole: «Va’ e ripara la mia chiesa!».

Il prossimo Papa si affaccerà su piazza San Pietro conoscendo a memoria l’urlo di Ratzinger: «Quanta sporcizia c’è nella Chiesa, e proprio tra coloro che, nel sacerdozio, dovrebbero appartenere completamente a lui» (2005). «Purtroppo il “mordere e divorare” esiste anche oggi nella Chiesa» (2009). «Abbiamo visto che la nave della Chiesa sta navigando anche con vento contrario e abbiamo pensato: “Il Signore dorme e ci ha dimenticato?» (2012).

Il prossimo Papa avrà una devozione, se l’espressione si può usare nei rapporti umani, per il suo predecessore. Spezzerà con la durezza dello sguardo i consigli curiali di chi vorrebbe convincerlo che sia bene convincere l’Emerito a lasciare il Vaticano.

Il prossimo Papa saprà che la sua vera banca non è lo Ior ma proprio l’Emerito, cuore orante nel cuore pulsante del Vaticano (ricordate S. Teresa di Lisieux?).

Il prossimo Papa chiederà a Ratzinger consigli, sperimentando con questa diarchia dei fatti un embrione di collegialità del papato, che poi certamente evolverà in forme più complesse, come tutti hanno sempre invocato, ma diciamo la verità, non sapevamo nemmeno da dove cominciare.

Il prossimo Papa riformerà la Curia? Sì, per non esserne riformato. Saprà che è «affaticata e stanca», perché lo ha detto Ratzinger, ma lo capirà da solo e subito.

Il prossimo Papa sarà più libero di Ratzinger perché Ratzinger si è già preso, come un parafulmine, il peso di tutti i paragoni e i paralleli possibili con il carisma personale di Wojtyla.

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Il grande talento di Toniolo

Lunedì scorso ho moderato la presentazione del libro di Ernesto Preziosi,Giuseppe Toniolo. Alle origini dell’impegno sociale e politico dei cattolici” (Paoline, 2012). Introducendo i lavori ho detto che tra i grandi talenti di Giuseppe Toniolo c’è stato quello di aver saputo dialogare/collaborare/lavorare con i vescovi, in un’epoca in cui non era ovvio che avvenisse.

Ho poi constatato  che negli ultimi 20 anni, dopo il crollo della DC, la dinamica dei rapporti tra cattolici impegnati in politica e vescovi  è stata stretta tra due poli, tra: «Io sono un cattolico adulto», frase spiritualmente senza senso ma politicamente incazzosa, pronunciata da Romano Prodi, allora premier, contro il card. Ruini (epoca dei Dico), e dall’altra parte: gli atei devoti, che ai più appaiono lesti a risolvere favori più che testimoni di fede, che anzi se ne guardano bene dall’esserlo o dal dichiararsi.

Due opposti estremi, da cui verrebbe fuori che non c’è alternativa tra rissa e  zerbinismo, chiamiamolo così (vedi zerbino).

Ma così non va! E così non andremo da nessuna parte!

Il grande talento di Toniolo è stato quello di essere un cattolico autentico, capace di originalissimi contributi, capace di aiutare i vescovi a superare alcuni ritardi culturali (il rifiuto della democrazia, ad esempio), capace di farlo senza polemiche, senza scontri, senza falsità ma anche senza zerbinismi (appunto).

Un rapporto maturo, adulto (questo sì), responsabile da entrambe le parti.

Forse è per questo che a voce forte, il Papa e i vescovi chiedono che si faccia avanti una nuova generazione di politici cattolici, perchè se una nostalgia c’è è quella di un laicato alla Toniolo.

E’ curioso che dobbiamo guardare indietro, a prima del Concilio, per trovare felici esempi da applicare oggi in pieno post Concilio. Sarebbe bello indagare perchè.

Alla presentazione del libro hanno partecipato: Ernesto Preziosi, lo storico Agostino Giovagnoli, il presidente dell’AC, Franco Miano, il presidente delle ACLI, Andrea Olivero.

Umberto Eco e l’Azione Cattolica/2

Oltre la metà dei messaggi che ho ricevuto dopo il primo post su Umberto Eco e l’AC (alcuni su Facebook e altri in privato) non c’entravano niente con l’argomento. E questo è materiale per chi studia internet e soprattutto le relazioni umane, spesso polemiche e sgarbate senza motivo.

Però l’altra parte mi ha molto incuriosito.

In sostanza il mio post, fatto di domande, è stato interpretato come una sentenza.

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Umberto Eco e l’Azione Cattolica

La storia è nota ma il 3 gennaio Umberto Eco l’ha ripresa rispondendo ad una domanda di Antonio Gnoli su Repubblica, prima del suo ottantesimo compleanno (il 5 gennaio, auguri!).

Domanda (senza il punto interrogativo): «Lei ha militato nella Gioventù Cattolica».

Risposta: «Ero nel gruppo dirigente. Poi ci fu il famoso caso di Mario Rossi, il presidente dell’associazione giovanile dimessosi in contrasto con Luigi Gedda. Gedda era il presidente di tutta l’Azione Cattolica e pretendeva che il movimento si schierasse elettoralmente con la Dc, il Msi e i monarchici. Fu rottura. Arrivarono i provvedimenti disciplinari. L’Osservatore Romano ci definì comunisti. Mentre, in realtà, noi leggevamo Jacques Maritain ed Emmanuel Mounier».

Ripeto, la storia è nota ed è pure monca della parte in cui l’allora mons. Montini si prese cura, dando un aiuto sostanzioso, cioè firmando un assegno, di quei giovani in rottura con l’Azione Cattolica.

Quello che mi colpisce però sono le ultime frasi della risposta:

«L’Osservatore Romano ci definì comunisti. Mentre, in realtà, noi leggevamo Jacques Maritain ed Emmanuel Mounier».

La domanda è: cos’è successo, dopo?

Se leggi Maritain e Mounier a 20 anni, e ti trasmettono qualcosa, e infatti te lo ricordi ad 80, come puoi per colpa di Gedda buttar via tutto?

E’ possibile che la politica possa annullare un’intera formazione cristiana?

Può un punto di vista diverso sulle strategie politiche, far saltare il banco? E il banco non è la fede (non so Eco creda ancora in quel Dio che pure ha servito da giovane), ma è l’abito del cristiano: la maturazione dell’incontro con Cristo, la consapevolezza di essere chiamati, la scoperta del dono di sè e del talento ricevuto, la necessità della missione.

Quella di Eco è la generazione che ha avuto Montini per padre, prima ancora che diventasse Papa. Ed è finito tutto per uno brutto pasticcio orchestrato da Gedda?

Lo chiedo non al grande prof. Eco ma al giovane Umberto, che in quelle stesse stanze dell’Azione Cattolica, se avessi avuto qualche anno di più, avrei certamente incrociato, perché poi quelle stanze le ho frequentate anch’io.

Cosa gli è rimasto di Maritain e Mounier? E di Gesù?

La storia, tragica, di una Generazione che ha preferito fuggire più che combattere, cambiare se stessa più che cambiare il mondo.