PAURE. Io, medico, rassicuro i pazienti ma tremo per mia figlia

INFLUENZA A. La paura di un medico per la figlia
INFLUENZA A. La paura di un medico per la figlia

In ospedale: « Va tutto bene, la A è una piccola influenza »

A casa: mia figlia di 2 anni ha 39 di febbre

Chiamo di nascosto i colleghi: «Ho paura. La ricovero? »

La crisi di un medico raccontata nel suo diario

L’articolo più bello della settimana

 

Il dottore-papà: «Ho chiamato di nascosto il pediatra. E all’ospedale rassicuravo i pazienti»

Sergio Harari,  direttore dell’Unità di Pneumologia ospedale San Giuseppe di Milano, per il Corriere della Sera del 06 novembre 2009

 

Non bastavano i malati in ospedale, torno a casa e mia figlia, due anni e mezzo, ha la febbre a 39; è giovedì sera.

Niente, tutto in fumo. Venerdì mattina vado in ospedale, non facciamo che rispondere alle domande di chiarimento dei nostri pazienti con problemi respiratori sul vaccino per l’influenza H1N1, «Lo devo fare? È proprio necessario? ma mi hanno detto che…, ho letto su internet…». Un vero delirio, non abbiamo tempo per dilungarci in spiegazioni con tutti, il telefono non cessa di squillare, quando rispondiamo la domanda è sempre la stessa: «E il vaccino?».

Anche nei corridoi veniamo fermati dai malati che cercano risposte. Poi ci sono i pazienti che le polmoniti da influenza A ce l’hanno davvero e il nostro tempo è per loro, vengono ricoverati e cominciano i dubbi: quando fare il tampone per la conferma diagnostica del virus? Cominciare a trattare in attesa dell’esito o aspettare il risultato? E per quanti giorni trattare? Ci telefoniamo tra colleghi: tu quanti casi hai visto? Come sono andati? Ma hai messo in isolamento il malato? Per quanti giorni? I dubbi e le domande sono molti più delle certezze che le diverse indicazioni operative regionali e ministeriali vorrebbero trasmettere.

Torno a casa, è venerdì sera, mia figlia ha sempre 39 e la febbre non scende, non mangia e beve poco, mi appello alla mia razionalità di medico e cerco di non preoccuparmi, con mia moglie non accenno al dubbio che sia la nuova influenza, non voglio agitarla anche se lei mi sembra molto più tranquilla di me, ma lei non è medico, appunto.

Sabato idem, chiamo una amica pediatra vergognandomi un po’, mi tranquillizza e rifiuto con un gesto di superiorità del quale mi pento subito la sua offerta di visitarla a casa. Ausculto la piccola, mi sembra vada tutto bene, febbre a parte. Comincio a rompere il velo del silenzio con mia moglie e accenno alla possibilità che sia la nuova influenza, ho qualche esitazione nel nominarla, quasi che evocarne il fantasma possa farla materializzare; 25 anni di medicina e tutto il mio illuminismo scientifico si stanno sbriciolando nel giro di poche ore. La giornata è costellata di telefonate di amici e pazienti con febbre, naturalmente tranquillizzo tutti. Intanto studio gli ultimi lavori usciti sulla pandemia, leggo dei decessi tra i bambini e tra le persone sane, pochi, certo, ma ci sono.

Mi sfiora un dubbio: e se l’avessi passata io l’influenza a mia figlia? In ospedale vediamo decine di malati al giorno, ho chiesto di essere vaccinato ma ancora il vaccino non è arrivato, meglio non pensarci per non ag­giungere la colpa alla preoccupazione.

 LA PEDIATRA – È domenica, Anna ha ancora 39, nascondendomi in bagno mando un sms alla mia amica pediatra, «la bambina ha ancora la febbre, la porterei in ospedale a farle dare un’occhiata», e annuncio i miei irragionevoli propositi a mia moglie che continua a essere molto più tranquilla di me. L’amica mi risponde come speravo, verrà a vedere la bambina, accenno a un educato rifiuto, ma mi dice che è sulla sua strada e non lascia spazio a repliche. Arriva e mi rendo conto, essendo questa volta dall’altra parte, come la presenza di un medico possa rassicurare, solo a vederla entrare sto meglio. Tutto bene, acqua e zucchero, qualche consiglio e un po’ di pazienza e tutto passerà. Chiacchieriamo un po’, mi racconta della baraonda nelle sale d’attesa, delle riunioni di aggiornamento sulla pandemia strapiene e mal organizzate e con informazioni confuse.

Squilla il telefono, è un collega che dirige una pneumologia alle porte di Milano, è stanchissi­mo, hanno 4 casi di polmonite da H1N1, deve curarli e contemporaneamente perdere tempo a giustificarsi con la sua Asl che protesta per l’ec­cessivo consumo di antivirali. La domenica trascorre tra telefonate e piccole commissioni. Anna finalmente si sfebbra. Domani è lunedì, si tor­na in ospedale, il caos dell’influenza mi aspetta ma almeno mia figlia sta bene

 Sergio Harari, direttore dell’Unità di Pneumologia ospedale San Giuseppe di Milano

3 commenti su “PAURE. Io, medico, rassicuro i pazienti ma tremo per mia figlia”

  1. Bellissimo!
    Figlio di medico, fratello di medico e padre di tre figli con febbre, tosse e mal di gola, ti garantisco che non c’è niente di più vicino alla vita, quella vera!
    Grazie Rosario

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