Così l’America sta cambiando i quotidiani

Christian Rocca per “IL FOGLIO”

Riusciranno Time e Newsweek a salvare i giornali misteriosamente scomparsi su Internet?
I giornali sono in crisi, licenziano, chiudono uffici di corrispondenza e – nel caso di Us News & World report, Christian Science Monitor e Detroit Free Press – abbandonano addirittura la pubblicazione cartacea per traslocare in toto su Internet, in realtà senza serie garanzie di sopravvivenza. L’unica impresa giornalistica online autosufficiente a oggi è quella del giovane The Politico, i cui ricavi però arrivano al sessanta per cento dalla pubblicità raccolta dall’edizione cartacea distribuita tre volte a settimana al Congresso di Washington.

Il grande dibattito sul futuro dei giornali è cominciato da tempo, negli ultimi mesi è diventato più urgente perché la crisi economica ha ridotto gli investimenti pubblicitari con effetti devastanti sui bilanci dei giornali. Il New York Sun e il Baltimore Examiner hanno salutato i lettori per sempre, tutti gli altri, compresi i big New York Times, Wall Street Journal, Time, Newsweek, Associated Press, Bloomberg e i network televisivi hanno tagliato costi e personale senza tante storie. C’è chi pensa che nell’era dell’economia free, gratis, il giornalismo commerciale non abbia alcun futuro, se non quello di trasformarsi in impresa non profit, come i centri studi e le fondazioni culturali finanziate da  mecenati e filantropi sul modello dei think tank americani. C’è già un esempio, quello di ProPublica, un’impresa redazionale senza fini di lucro che non produce un giornale, ma servizi e inchieste pubblicate e trasmessi da New York Times, Los Angeles Times, Cnn, Cnbc e un’altra ventina tra quotidiani, riviste e televisioni.

Da un paio di giorni, però, si discute su due proposte concrete per salvare il business della carta stampata. La prima è stata elaborata da Walter Isaacson, ex direttore di Time e presidente della Cnn, con un lungo articolo pubblicato dal suo ex settimanale. La seconda è una proposta già operativa che arriva dai concorrenti diretti di Time, da Newsweek e che si comincerà a vedere in edicola a partire da maggio. Time e Newsweek sono i due principali settimanali americani, il modello dei newsmagazine di tutto il mondo, compresi quelli italiani. Time è ancora in attivo, ma il margine di guadagno è sempre più ristretto, la base di quasi tre milioni e mezzo di abbonati si assottiglia e non è riuscito a evitare un’ondata di licenziamenti. Newsweek, di proprietà del Washington Post, ha un milione di abbonati in meno rispetto al rivale e un bilancio così in rosso da aver deciso che il piano primaverile di riduzione dello staff redazionale di centoundici posti di lavoro è già insufficiente.

Newsweek ha scelto di cambiare radicalmente formula, di tagliare i costi e di rinunciare a un milione di lettori, provando a tenersi quelli più giovani, colti e ricchi nella speranza che un target così qualificato possa essere di maggiore appeal per gli investitori pubblicitari. Il nuovo Newsweek non sarà più una rivista omnibus, obbligata a seguire tutte le notizie della settimana. Non avrà neppure la tradizionale suddivisione per settori – interni, esteri, economia, spettacoli, cultura – ma soltanto quattro sezioni che ospiteranno su carta più pregiata le notizie in breve, ampie pagine di commenti e opinioni, le inchieste e gli approfondimenti, e la cultura. L’idea è quella di una rivista di nicchia, più da battaglia culturale che di massa, sul modello dell’Economist, del New Yorker, dell’Atlantic Monthly e di un piccolo quotidiano di opinione italiano. L’Economist, a conferma dell’intuizione dei manager di Newsweek, proprio ieri ha annunciato un aumento del 6,4 per cento delle copie vendute rispetto all’anno scorso e del 99 per cento rispetto a dieci anni fa.

Walter Isaacson, su Time, ha proposto una strada diversa, quella dei micropagamenti. Il modello di business gratuito non ha funzionato, spiega, perché l’aumento dei lettori online ha fatto perdere i ricavi in edicola e non ha generato una crescita equivalente delle entrate pubblicitarie. La soluzione, scrive Isaacson, è quella di far pagare poco, dieci centesimi al giorno o due dollari al mese, i contenuti su Internet, esattamente come iTunes è riuscito nel mondo della musica a creare un gran business facendo  pagare le canzoni che altrimenti si potevano scaricare gratuitamente dalla rete.

13 febbraio 2009

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