LA LETTERA DEL DON AL BOSS

“QUANDO DA BAMBINO GIOCAVI IN ORATORIO”

Pochi giorni fa a Napoli l’arresto di un giovane boss, Walter Mallo,  28 anni, considerato il capo di un gruppo camorristico emergente nel rione Don Guanella, e dei suoi compagni.

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L’arresto del boss

Quel rione è lo stesso dove  fino a qualche anno fa ha operato don Aniello Manganiello, che oggi dal suo Facebook scrive al giovane boss: “Spesso vi siete beccati i miei rimproveri per il vostro comportamento, ma non avrei mai immaginato la vostra deriva malavitosa. Comunque, se lo riterrete opportuno, io ci sono“.

Don Aniello Manganiello, l'autore della lettera al boss
Don Aniello Manganiello, l’autore della lettera al boss

Pubblico quasi integralmente la lettera. Mi sembra un documento molto significativo sul tema della libertà di scelta, dell’educazione e della presenza della Chiesa nelle periferie, non solo geografiche.

Caro Walter Mallo, cari giovani, vi ho visti crescere, ragazzini casinari, venivate in oratorio e spesso vi siete beccati i miei rimproveri per il vostro comportamento non sempre rispettoso delle regole.

Però vi confesso che non avrei mai immaginato che nella vostra vita ci sarebbe stata questa deriva malavitosa.

Non avreste dovuto seguire i cattivi esempi degli appartenenti al clan. Fare il camorrista è scelta che non porta a nulla di buono! L’epilogo a questa vita ha due possibilità: il carcere o peggio il cappotto di legno, la bara, il cimitero, una vita buttata via!

Le scelte fatte da ragazzini, quelle violente, infarcite di prepotenze, di prevaricazioni, di offese gratuite, hanno poi generato questa scelta malavitosa.

Ma perché non vi siete guardati attorno? Perché non avete preso atto di quanti, avendo fatto la vostra stessa scelta in precedenza, sono finiti crivellati di colpi sull’asfalto nel completo disprezzo?

Sarebbe stato meglio per voi studiare, farvi una cultura, conseguire un titolo di studio, fare calcio, magari nella nostra associazione sportiva dilettantistica Oratorio don Guanella, fare amicizie sane, accontentarsi del poco, dell’indispensabile, non puntare ad avere per forza tutto, guadagnarsi da vivere con la fatica e non facendo i parassiti, succhiando il sangue alla gente.

oratorio-scampia

E invece adesso, è arrivato il conto da pagare! Si può però sempre cambiare, basta crederci ed essere convinti. Migliorare e cambiare si può. Avrete molto di meno, ma sarete liberi dentro e liberi di guardare la realtà senza paura.

Io comunque ci sono, quando lo riterrete opportuno”.

Don Aniello Manganiello

PALMIRA, IL RITORNO DELLA CIVILTA’

AL TERMINE DEL POST IL CONCERTO INTEGRALE

Bisogna riconoscere al presidente russo Vladimir Putin una sapienza comunicativa degna di Hollywood, se a poche settimane dalla liberazione dell’area archeologica siriana di Palmira, danneggiata dall’Isis, è stato capace di portare proprio lì l’orchestra filarmonica del teatro Marinski di San Pietroburgo per un concerto di musica classica.

Palmira concerto

C’erano musicisti, pubblico, le telecamere del canale di Stato russo che hanno garantito una lunga diretta, e poi, non visti, elicotteri e forze di terra che presidiavano la zona, con un nervosismo per niente tipico dei concerti dove si suona Bach o Prokofiev.

Le immagini sono meravigliose, dicono una sola cosa: il ritorno della civiltà. Punto. C’è poco da dire.Palmira concerto2

Con un di più: questa volta il simbolo superava il simbolismo. In occidente ci siamo specializzati in simboli e segni dopo le tragedie: marce, corse, nastri, la nostra (piccola) risposta è ormai affidata a cose così, banalità che impegnano poco ma danno l’idea di una (sofferta) partecipazione. Di concerti “per” la pace e “contro” la guerra se ne fanno anche da noi. A Palmira però c’era il dato reale, l’occupazione fisica del luogo simbolo della barbarie del sedicente stato islamico. Occupare con la musica Palmira è stato faticoso, rischioso, ma estremamente affascinante e significativo.

Colpisce accostare le due foto: quella di pochi mesi fa, con le esecuzioni operate in quel teatro all’aperto dall’Isis e quella del concerto. Le esecuzioni sul palco, il concerto sotto il palco.

palmira ieri e oggi

L’orrore e la meraviglia, nello stesso luogo, a distanza di pochi mesi.

Ecco la diretta integrale del concerto.

NADIA, CHE HA CONOSCIUTO L’ISIS

Mi ha molto colpito la storia di Nadia, 22 anni, rapita dall’Isis.

Le hanno ucciso la mamma, 6 fratelli e i nipoti davanti agli occhi; l’hanno rapita e violentata (nel video sotto è lei a raccontare la sua tragedia), è stata una schiava per tre mesi, poi nel novembre 2014, è riuscita a fuggire.

Mi colpisce la sua storia e mi atterrisce la sua denuncia: ci sono 3.500 (3.500!) donne  rapite e schiave dell’Isis.

1.200 (1.200!) bambini rapiti per fare i soldati.

Nadia Murad
Nadia Murad

I popoli che arrivano ai nostri confini sono loro o persone come loro. Le storie sono queste.

Fuggire o finire rapiti o uccisi.

Nadia, che è una yazida, cioè appartiene ad un popolo antico, pacifico e tollerante che vive in Iraq, ha parlato al Consiglio di Sicurezza dell’Onu nel dicembre scorso. E in questi giorni è stata ospitata a Milano dal Festival dei diritti umani.

Dice Nadia in un’intervista che l’Europa non può chiudere le frontiere a chi fugge dalle guerre. Spiega che capisce la paura, specie dopo gli attentati in Francia e Belgio, ma l’Europa è una speranza troppo grande per chi cerca la libertà e in nome della sua storia non può tradire né questa speranza né il bisogno di libertà.

Osservo questa ragazza giovanissima e sola, che ha scelto la battaglia più difficile: raccontare quello che le hanno fatto e che ha visto, per fermare un genocidio.

In Europa (e in America) siamo abituati a celebrare le date della storia, a ripetere: “Mai più!“, davanti alle pagine più nere.

Ma è vergognoso che davanti ad una tragedia in atto, non abbiamo parole e non sappiamo trovare gesti significativi.

UN GIORNO AD ALEPPO

Continuo a tenere le luci accese su Aleppo.

Questo è il racconto di una giornata infernale. Ma in fondo non molto diversa dalle altre.

E’ il 28 aprile. La fragile tregua, che nel resto della Siria regge, qui non funziona. In più arriva l’ennesimo raid aereo a colpire le abitazioni civili.

E come documenta Ameer Alhalbi dell’AFP, sono i vicini a dare il primo soccorso.

La sequenza che troverete sotto è drammaticamente incredibile.

Il salvataggio di un bambino, la riconsegna ai genitori, i quali vanno via, in un’apparente tranquillità, in un’apparente normalità, con un tablet in mano, su una strada di macerie.

Vivi, per miracolo. In mezzo al niente.

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“ALEPPO, LA STORIA CHIEDERÀ CONTO”

Pubblico l’appello per Aleppo che Andrea Riccardi ha appena lanciato su Avvenire. L’appello per quella città siriana dove pochi giorni fa è stato ucciso Muhammad Waseem Maaz, 36 anni, l’ultimo pediatra. Dove tutto è distrutto. Dove la guerra si accanisce solo sui civili e in particolare sui bambini. (rc)

di Andrea Riccardi

Più volte, dal 2014, abbiamo lanciato un appello per Aleppo: per salvare la città, costituire attorno ad essa una zona di non combattimento, soccorrere la popolazione. Gli appelli, nonostante il sostegno di tanti uomini e donne di buona volontà, sono caduti nel vuoto tra i combattenti sul terreno e nella comunità internazionale. Si sarebbe potuta creare una “città aperta”, preservando un ambiente unico dal punto di vista storico e umano.

Andrea-Riccardi
Andrea Riccardi

Non è successo niente. Non interessava fermare tanta distruzione. Così Aleppo è stata demolita pezzo dopo pezzo, mentre la sua gente era sottoposta a un logorante assedio e alla brutalità della guerra. E la follia continua.

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Un blog di storie, idee e qualche polemica